I viaggi a est dell’imperatore – Macedonia

Macedonia – La polveriera di Skopje
Quando si sfasciò la Jugoslavia nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla sopravvivenza della sua repubblica più meridionale, la Macedonia. Un guazzabuglio di etnie (macedoni, albanesi, serbi, rom, romeni), la più povera tra repubbliche e con dei vicini non proprio amichevoli. Gli albanesi che sognano di unire alla “grande Albania” la regione del lago di Ocrida, i bulgari che considerano il macedone un loro dialetto e, soprattutto, i greci che da subito vedono come fumo negli occhi qualsiasi riferimento del nuovo stato all’antica Macedonia di Alessandro. Cosicché pur di farsi accettare dalla comunità internazionale, Skopje deve cambiare la bandiera (troppo simile alla stella di Vergina, simbolo della famiglia di Alessandro e del padre Filippo) e deve assumere la bizzarra denominazione di “Former Yugoslav Republic of Macedonia”. Da oltre venti anni sono così aperti tra Skopje e Atene dei negoziati per trovare un minimo di convivenza e un nuovo nome più dignitoso ma, al momento, non si è risolto nulla.
Nonostante i tanti fattori critici, la Repubblica riesce a sopravvivere, trovando un equilibrio tra le diverse etnie e restando fuori dalla macelleria jugoslava degli anni novanta. Autore di questo miracolo è il presidente Kiro Gligorov, vecchio partigiano, una vita nella nomenklatura della Jugoslavia socialista, che con abilità riesce nei dieci anni della sua presidenza a tenere in piedi il Paese. La chiave del successo è la scelta di ospitare qualche migliaio di soldati americani a garanzia della tranquillità. Non tutto fila liscio, e lo stesso Gligorov viene fatto saltare in aria in un attentato nel quale perderà la vista da un occhio, di cui i macedoni accusarono, senza averne mai le prove, i serbi e i bulgari.
Alla morte di Gligorov le tensioni politiche nel Paese tendono ad accrescersi e l’alternanza tra i due partiti maggiori e le loro coalizioni (i socialisti dello SDMS, nati dalla trasformazione della Lega dei comunisti di Macedonia e la desta del VRMO, erede dei gruppi nazionalisti terroristici di fine ottocento) diventa sempre più complicata. Le maggiori tensioni nascono con gli albanesi (divisi in ben due partiti) che portano la Macedonia, dopo la guerra nel Kosovo, quando arrivarono ben duecentocinquantamila profughi, a un passo dalla guerra civile.
Gli ultimi dieci anni sono caratterizzati dal governo del VRMO e, in particolare, dal potere del primo ministro Nikola Gruevski. La Repubblica ha avuto un scoordinata e confusa crescita economica che ha portato nuova ricchezza ma anche disparità sociali e una radicata malvivenza. Skopje è diventata il simbolo di questa nuova fase della storia nazionale, divenendo il teatro degli esperimenti urbanistici del desiderio di grandeur del governo di destra. Così, una serie di gigantesche costruzioni molto kitsch, che si richiamano a un improbabile passato, fanno della capitale qualcosa di più somigliante a una città dell’Asia centrale che a una europea.
Il detonatore dell’attuale crisi scoppia nel 2015 con lo scandalo delle intercettazioni. Si viene a scoprire che i servizi di sicurezza, su ordine del governo, intercettava le telefonate di almeno ventiduemila tra avversari politici, giornalisti, funzionari pubblici e privati cittadini. Inizialmente le manifestazioni di protesta non scuotono granché il governo che in seguito, pressato dall’Unione europea, accetta un tavolo di discussione con l’opposizione. Il tavolo va avanti a rilento e perfino la data delle prossime elezioni (al momento il governo ha fissato la consultazione per il 5 giugno, nonostante la contrarietà delle opposizioni che non ritengono risolti i problemi di legalità del processo elettorale). La situazione si inasprisce a partire dal 12 aprile, quando con un colpo di mano, il presidente della Repubblica Gjorge Ivanov, un uomo di Gruevski che, pur dimissionario da gennaio, continua a tirare le fila del governo, ha con un decreto prosciolto dalle accuse per lo scandalo delle intercettazioni cinquanta personalità politiche legate al governo.
Negli ultimi giorni le manifestazioni di protesta si susseguono quotidianamente e il tavolo negoziale tra le diverse forze politiche, allestito dall’Ue a Vienna per il 22 aprile, è saltato. Si è assistito a un tentativo di assalto al palazzo del presidente, respinto dalle forze di sicurezza, mentre nei giorni successivi le manifestazioni sono continuate in modo più pacifico con occupazioni e con la pitturazione da parte dei manifestanti delle facciate dei palazzi del potere. La tensione, a ogni modo, resta alta e nessuno può sapere quale piega possano prendere gli avvenimenti.
Insomma, un Paese mai amato dai vicini, in una perenne crisi di identità e carico di tensioni che si affida alle capacità politiche di Bruxelles. Non resta che affidarsi alla speranza.
Commodo