Oltre la Cortina di Ferro – Le vite degli altri – Seconda Parte (Cecoslovacchia)

Nell’aprile del 1945, poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, nasceva la Terza Repubblica. Il governo che la reggeva, nato a Kosice il 4 aprile e poi trasferitosi a Praga il mese successivo, era formato da una coalizione composta da comunisti, socialisti, socialdemocratici e da 2 partiti non di sinistra: Partito Popolare Cattolico (Moravia) e Partito Democratico.

La Cecoslovacchia cadde subito nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica.

Grazie all’entusiasmo provocato dalle truppe di liberazione sovietica e al fatto che i cecoslovacchi si sentivano traditi dall’Occidente per via della Conferenza di Monaco del 1938, alle elezioni del maggio 1946 il KSC (Partito Comunista Cecoslovacco) ottenne una grande maggioranza al Comitato Nazionale eletto, il nuovo organo di amministrazione locale. Il KSC vinse nella parte ceca (40,17%), mentre gli anti-comunisti dominarono (Partito Democratico) nella parte slovacca (62%). Tuttavia, a livello nazionale furono i comunisti ad ottenere la maggioranza, con il 38% dei voti. Edvard Benes continò a rimanere Presidente, mentre il leader comunista Klement Gottwald divenne Primo Ministro.

Inzialmente il governo comunista voleva partecipare al Piano Marshall, ma Mosca lo fece recedere da questa idea.

Il governo si trovò subito ad affrontare una serie di questioni spinose, in primis la questione etnica. A seguito della resa tedesca, 2,9 milioni di tedeschi furono espulsi dalla Cecoslovacchia con l’approvazione degli Alleati. Inoltre tutta la minoranza magiara (600.000 persone) fu deportata in Ungheria, in cambio del trasferimento in senso opposto della minoranza slovacca d’Ungheria. Mentre 100.000 slovacchi lasciarono l’Ungheria, quasi tutti gli ungheresi (eccetto 73.000) decisero di resistere e rimanere nei propri paesi natali. Questa decisione della gran parte degli ungheresi di restare in territorio slovacco radicalizzò lo scontro nazionalistico: a 300.000 ungheresi venne imposta la nazionalità slovacca. Il clima di intimidazione creato tra le minoranze, fece ridurre a 370.000 il numero di coloro che al censimento del 1950 si dichiarò ungherese (solo negli anni ’60, con la destalinizzazione, il numero di coloro che si dichiarò ungherese salì sopra le 500.000 unità).

Nel 1947 Stalin convocò Gottwald a Mosca e al suo ritorno la strategia comunista divenne molto più radicale. Il 20 febbraio 1948 12 ministri non comunisti diedero le dimissioni per indurre il Presidente della Repubblica a convocare nuove elezioni. Questa mossa fu portata avanti in segno di protesta contro l’uso politico che i comunisti stavano facendo della polizia. Benes rifiutò le dimissioni e non convocò le elezioni. Il KSC ne approfittò per organizzare le sue forze: il Ministero degli Interni (controllato dai comunisti) dispiegò le forze di polizia nei punti nevralgici e organizzò una polizia popolare. Il 25 febbraio Beneš, temendo un intervento sovietico, capitolò. Accettò le dimissioni dei ministri dissidenti e ricevette da Gottwald una nuova formazione di governo che completò, attraverso i mezzi della legalità superficiale, la presa del potere da parte del comunismo.

La Cecoslovacchia fu dichiarata una “democrazia popolare” (fino al 1960), passo preliminare verso la completa realizzazione dello stato a guida comunista. Fu anche introdotto il centralismo burocratico sotto la direzione del KSC. Iniziarono anche le purghe nei confronti degli elementi dissidenti, Chiesa cattolica compresa. L’influenza comunista si estese a tutti gli aspetti della vita culturale e intellettuale. L’economia era amministrata a livello centrale e pianificato, con il progetto dell’abolizione della proprietà privata del capitale. La Cecoslovacchia divenne uno stato satellite dell’URSS; fu un membro fondatore del Consiglio per la Mutua Assistenza Economica (COMECON) nel 1949 e del Patto di Varsavia nel 1955.

La Slovacchia vide cancellata la sua autonomia e il KSS (Partito Comunista della Slovacchia) fu riunito al KSČ, mantenendo la sua identità. Venne data grande enfasi allo sviluppo dell’industria pesante, seguendo il modello sovietico.

Il presidente in carica Benes si rifiutò di firmare la nuova Costituzione comunista del 1948 e si dimise; il suo successore fu il Primo Ministro Klement Gottwald, che morì nel 1953; a lui succedette Antonin Zapotocky, mentre Antonin Novotny divenne capo del KSC.

Per più di un decennio, la struttura politica comunista della Cecoslovacchia fu caratterizzata dall’ortodossia della presidenza del capo del partito Antonín Novotný. Novotný divenne Presidente nel 1957 quando morì Zápotocký.

La Costituzione della Cecoslovacchia del 1960 dichiarò la vittoria del socialismo e proclamò la Repubblica Socialista Cecoslovacca.

In Cecoslovacchia la destalinizzazione arrivò tardi. All’inizio degli ’60 l’economia nazionale era in una pericolosa fase di stagnazione. Il paese era quello che cresceva di meno tra tutti quelli del Blocco Orientale. Fu così che nel 1965 il partito approvò il Nuovo Modello Economico, che introdusse il libero mercato. Il KSČ presentò nel dicembre 1965 la sua soluzione per la riforma politica: il centralismo democratico fu ridefinito, mettendo più l’accento sulla democrazia. Il ruolo dominante del KSČ fu riaffermato ma limitato; gli slovacchi intanto facevano pressioni per la federalizzazione della nazione. Il 5 gennaio 1968 il Comitato Centrale del KSČ elesse Alexander Dubcek, riformatore slovacco, per sostituire Novotný come segretario del partito. Il 22 marzo 1968 Novotný si ritirò dalla Presidenza e gli succedette il generale Ludvik Svoboda.

Sotto la guida di Dubcek la Cecoslovacchia conobbe un profondo movimento di apertura conosciuto come “La primavera di Praga“. La censura fu tolta e la stampa, la radio e la televisione furono mobilizzate per scopi di propaganda riformista.  Vi trovarono espressione elementi radicali: apparve nella stampa la polemica anti-sovietica, i socialisti democratici iniziarono a formare un partito separato, furono creati nuovi circoli non affiliati politicamente. La conservazione del Partito richiedeva l’implementazione di misure repressive, ma Dubček mantenne la moderazione e rienfatizzò la leadership del KSČ.

Nell’aprile del 1968 fu steso un programma che si proponeva di trasformare la nazione in una democrazia socialista moderna e umanista, che avrebbe garantito tutte le libertà civili fondamentali. Dubcek diede al suo programma il nome di “Socialismo dal volto umano”.

Naturalmente come nel caso del riformista Nagy in Ungheria, questa grande ventata di liberalizzazione provocò forti tensioni con gli altri paesi del Patto di Varsavia. I conservatori del KSČ informarono male Mosca riguardo al movimento di riforma, e di conseguenza le truppe del Patto di Varsavia (eccetto quelle della Romania) invasero la Cecoslovacchia nella notte tra il 20 e il 21 agosto. Ma Dubeck aveva dalla sua parte i 2/3 del KSC e l’opposizione popolare, che si organizzò in movimenti di resistenza non violenta. Le truppe sovietiche furono accolte con grande astio a Praga e nel resto della nazione. Il governo cecoslovacco dichiarò che le truppe non erano state invitate nella nazione e che la loro invasione costituiva una violazione dei principi del socialismo, della legge internazionale e dello Statuto delle Nazioni Unite. Dubcek, che era stato arrestato durante la notte dell’invasione, fu portato a Mosca per trattare. Il capo di stato dell’URSS Breznev impose le sue condizioni a Dubeck (la famosa “Dottrina Breznev” della sovranità limitata):  rafforzamento del KSČ, il controllo del partito sui mezzi di comunicazione, e la soppressione del Partito Social Democratico Cecoslovacco.

La manifestazione più clamorosa di protesta contro l’invasione sovietica fu messa in atto dallo studente Jan Palach, che il 19 gennaio 1969 si diede fuoco in piazza San Venceslao.

Come nel caso ungherese, anche qui il PCI fu dilaniato dalle polemiche interne. Un gruppo di intellettuali legati al Partito Comunista (Lucio MagriRossana Rossandra, Luigi Pintor, Aldo Natoli, Valentino Parlato, Luciana Castellina, moglie di Alfredo Reichlin, e altri) fondò un giornale in aperto dissenso con la linea del partito dal nome “Il manifesto” (il titolo del primo articolo pubblicato fu emblematico: “Praga è sola”, in cui si prendevano le difese di Dubcek contro l’invasione sovietica).

I principali riformatori cecoslovacchi furono forzatamente e segretamente portati in Unione Sovietica dove firmarono un trattato che permetteva lo “stazionamento temporaneo” di un indeterminato numero di truppe in Cecoslovacchia. Dubček fu rimosso dalla posizione di Primo Segretario il 17 aprile 1969 e fu sostituito da un altro slovacco, Gustav Husak. In seguito, Dubček e molti suoi alleati furono tolti dalle loro posizioni nel partito con una nuova ondata di purghe che durò fino al 1971 e ridusse i membri del partito di quasi un terzo.

Con Husak si tornò all’ortodossia di partito e alla pianificazione centralizzata dell’economia. Altra caratteristica del regime di Husák fu la continua dipendenza dall’Unione Sovietica. Negli anni ottanta circa il 50% dei commerci esteri cecoslovacchi erano con l’URSS, arrivando  all’80% considerando con gli altri paesi comunisti.

I movimenti di protesta anti-regime proseguirono nella clandestinità.  Il 6 gennaio 1977 uscì il famoso manifesto denominato “Charta 77” redatto  Vaclav Havel, Jan Patocka, Zdenek Mlynar, Jiri Hajek e Pavel Kohout, e originariamente sottoscritto da 247 cittadini di diversa estrazione. Il documento criticava il governo della Cecoslovacchia per la mancata attuazione degli impegni sottoscritti in materia di diritti umani, tra i quali la Costituzione dello Stato, l’atto finale della conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (1975) e gli accordi delle Nazioni Unite sui diritti politici, civili, economici e culturali. I firmatari vennero arrestati e interrogati; furono poi licenziati dal loro posto di lavoro.

Nel marzo del 1987 il vento della perestrojka di Gorbacev era arrivato in Cecoslovacchia, ma il governo Husak non si impegnò più di tanto per promuoverlo. Nel dicembre 1987 Husak si dimise dalla carica di capo del KSC, mantenendo però il posto da Presidente della Cecoslovacchia e l’appartenenza al Presidio del KSČ. Milos Jakes lo sostituì come primo segretario del partito, ma anche lui si sforzò poco per traghettare la Cecoslovacchia verso il nuovo corso imposto da Mosca. Questa cosa irritò molto i dirigenti sovietica.

Nell’arco di 2 anni ci furono diverse manifestazioni anti-sovietiche. Ricordiamo:

  • 25 marzo 1988 a Bratislava;
  • 21 agosto 1988 (anniversario dell’invasione sovietica) a Praga;
  • 28 ottobre ancora a Praga;
  • A Bratislava e in altre città per ricordare i 20 anni dal sacrificio di Jan Palach;
  • 21 agosto 1989 e il 28 ottobre 1989.

La rivoluzione anti-comunista iniziò il 16 novembre 1989 a Bratislava, con una manifestazione di studenti universitari slovacchi a favore della democrazia, e continuò con la celebre manifestazione degli studenti cechi a Praga il 17 novembre. Questa data segnò la caduta ufficiale della dittatura comunista cecoslovacca, 8 giorni dopo la caduta del Muro di Berlino.

 

November 1989, Prague, Czech Republic --- Pro-democracy demonstrations held in Prague in November 1989 resulted in the resignation of the ruling Communist Party. The collapse of communism in Czechoslovakia became known as the Velvet Revolution, due to the relative peacefulness of events. --- Image by © Miroslav Zajíc/CORBIS

 

Link alla introduzione 

Link alla prima parte

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