10 errori fatali: come Renzi ha perso la battaglia di Roma

Mentre scriviamo, la notizia dell’elezione di Virginia Raggi a sindaco di Roma è presente sulle homepage dei principali media di tutto il mondo, da Le Monde al Times alla FAZ.

Per Matteo Renzi un’elezione locale, benché importante, si è trasformata in una disfatta di immagine globale. Peggio ancora, rischia di trasformarsi in una débâcle politica: finora nessuno ha preso troppo sul serio i grillini come guida del paese, ma se il nuovo sindaco riuscisse  a dare una raddrizzata alla Capitale la loro credibilità aumenterebbe enormemente. Il candidato del Movimento 5S diventerebbe un serio concorrente per il premier alle prossime elezioni politiche.

Come è potuto succedere tutto questo? Come ha potuto un partito che nel 2013 aveva ottenuto il 12,5% dei voti dei romani sbancare il Campidoglio con il 65%? Per di più con una campagna low cost ed una candidata praticamente sconosciuta?

La ragione è semplice: Renzi e il PD hanno commesso una serie impressionante di errori. Vediamoli  nel dettaglio.

  • CACCIARE IL SINDACO MARINO. Ammettiamo pure, senza minimamente concederlo, che Marino fosse un sindaco incompetente e gaffeur come dicono i suoi nemici. Era pur sempre stato democraticamente eletto col 64% dei voti. Rimuoverlo non spettava né al primo ministro né tantomeno al segretario del PD. L’Italia ha avuto molti pessimi sindaci e governatori, e nessuno è stato mai cacciato dal suo stesso partito. Ci avrebbero pensato gli elettori romani nel 2018. Anticipando le elezioni di due anni Renzi ha messo la testa dentro il cappio senza necessità.
  • CACCIARE MARINO DAL NOTAIO. Va bene, si decide che Marino va cacciato. C’è modo e modo di farlo. Il PD poteva per esempio dire, di fronte alla faccenda degli scontrini: se arriva un rinvio a giudizio noi toglieremo la fiducia al sindaco. Sarebbe stato draconiano ma impeccabile. Se non si voleva aspettare il rinvio a giudizio bisognava sfiduciare il sindaco nelle sedi appropriate, con un nobile discorso in cui lo si inchiodava alla sua inadeguatezza e si spiegavano ai cittadini le ragioni di una scelta tanto grave. Doloroso, ma dignitoso. Invece si è scelto il metodo peggiore: le sfuriate di Orfini, le gite dal notaio con l’opposizione, i post su Facebook. Ai cittadini non è stata data la minima spiegazione, né prima, né durante né dopo. Un disastro.
  • RINNEGARE TUTTO L’OPERATO DI MARINO. Anche gli osservatori più critici verso il sindaco riconoscevano che nella sua giunta c’erano persone che stavano facendo un lavoro importante per Roma: basti citare Alfonso Sabella, Marta Leonori, Estella Marino o Giovanni Caudo. Questo lavoro poteva e doveva essere riconosciuto. Invece la damnatio memoriae inflitta al sindaco ha coinvolto anche i suoi collaboratori, che sono stati spietatamente epurati (salvo Sabella, recuperato in extremis dopo essere stato liquidato senza un grazie). Ora, se Marino era incapace la colpa poteva essere di Marino. Ma se erano incapaci tutti gli assessori del PD, perché i cittadini dovrebbero votare di nuovo PD?
  • ABBANDONARE ROMA AL SUO DESTINO. Una volta fatto fuori Marino, la responsabilità della città era nelle mani di Renzi e solo di Renzi. Il quale è sembrato rendersene conto, e ha promesso un dream team e una pioggia di finanziamenti. Non si sono visti né l’uno né gli altri. E’ arrivato invece un burocrate evanescente, il prefetto Tronca. Dopo sei mesi di sua gestione con poteri straordinari Roma non è più pulita, gli autobus non sono più frequenti, gli abusivi meno invadenti, le strade più illuminate. Forse non era tutta colpa di Marino, devono aver pensato i romani.
  • SCEGLIERE IL CANDIDATO. Tra i tanti difetti dei romani c’è quello di pensare che la loro città sia il centro del mondo. Non amano che qualcuno venga da fuori, da Firenze poi, a dettare legge nell’Urbe. Il candidato lo dovevano scegliere i romani con primarie vere, non Renzi con primarie pilotate.
  • SCEGLIERE IL CANDIDATO SBAGLIATO. Per ribaltare la situazione serviva un fuoriclasse. Ora, Roberto Giachetti è chiaramente una persona molto stimata dai suoi colleghi politici. Altrettanto chiaramente, fuori dal Palazzo non lo conosce nessuno. Alle parlamentarie del 2013 arrivò addirittura nono. In un clima di rivolta anti establishment come quello attuale, presentare un tizio che in vita sua ha fatto solo politica e la cui impresa più rilevante è uno sciopero della fame contro la legge elettorale è un passo falso che si paga.
  • FAR FINTA DI CAMBIARE. Dopo il cataclisma di mafia capitale, in PD ha messo in campo un processo assai strombazzato di rinnovamento interno. Il commissariamento, la relazione Barca, la chiusura dei circoli etc. Il risultato di questo radicale rinnovamento è stato di ripresentare esattamente le stesse persone del 2013, tranne un paio attualmente ai domiciliari. Stessi presidenti di Municipio, stessi consiglieri, stessi capibastone, stessi tutti. I romani hanno preso nota.
  • SOTTOVALUTARE LO SCHIAFFO DELLE PRIMARIE. Alle primarie del 2013 votarono quasi 100 mila persone. A quelle del 2016 43mila. Di fronte a uno schiaffo del genere da parte dell’elettorato più fedele un partito dovrebbe interrogarsi e con umiltà cercare di riconquistare i disaffezionati. Invece l’ineffabile Orfini prima ha gonfiato il dato delle schede bianche (probabilmente un unicum nella storia delle truffe elettorali) e poi ha rilasciato la dichiarazione più infelice dai tempi della brioche di Maria Antonietta: “Sono mancati i voti dei mafiosi e delle truppe cammellate”. Questa non è una zappa su piedi, è un intero carro attrezzi.
  • SOTTOVALUTARE I GRILLINI. Nel 2013 il M5S presentò un candidato molto sprovveduto, tale De Vito. Ovviamente le teste d’uovo del PD si aspettavano un avversario dello stesso stampo, da poter ridicolizzare a piacimento. Invece il Mov ha tirato fuori il jolly. Pur senza essere la nuova Madame Curie, Virginia Raggi è giovane, telegenica, parla un italiano impeccabile, ha un sorriso accattivante. Insomma, buca lo schermo. Messa di fronte a un avversario che sembra sempre aver dormito nei propri abiti, è riuscita a compensare il gap di esperienza e a uscire indenne, o addirittura vincitrice, da tutti i dibattiti.
  • SBAGLIARE LA CAMPAGNA ELETTORALE. Se il PD pensava che il modo migliore di riconquistare il voto delle periferie fosse di avere due anziani miliardari abbronzatissimi in giro per Roma a cianciare di Olimpiadi, validamente coadiuvati dal giornale di Caltagirone, si sbagliava di grosso. Forse era comunque troppo tardi per recuperare, ma certo non ha aiutato.

Ora la frittata è fatta. Forse un giorno Renzi daterà l’inizio del suo declino dal giorno in cui decise di cacciare Ignazio Marino. Da uomo di cultura qual è, ricorderà di sicuro le parole che Fouché disse a Napoleone a proposito dell’assassinio del duca di Enghien: “E’ peggio di un crimine, sire. E’ un errore”.

Kadosch

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