Le Guerre jugoslave (1990-1995) – Guerra d’indipendenza croata – Introduzione

L’indebolimento del regime comunista diede la possibilità ai movimenti nazionalisti di espandersi, anche all’interno della Lega dei comunisti di Jugoslavia. Nel 1989 in Croazia si formò l’HDZ (Unione Democratica Croata), un partito d’ispirazione neofascista guidato da Franjo Tudman, ex partigiano titino e poi generale della JNA durante gli anni ’60. Verso la fine degli anni ’80 Tudman effettuò diversi viaggi all’estero per perorare la causa nazionalista all’interno della diaspora croata nel mondo.
Nel gennaio del 1990 la Lega dei Comunisti si divise a causa delle differenti linee politiche presenti all’interno delle diverse repubbliche. Il 20 gennaio 1990, al XIVº Congresso Straordinario della Lega dei Comunisti di Jugoslavia, le delegazioni slovene e croate chiesero un unione più blanda, cosa rifiutata con fermezza da Slobodan Milosevic, che guidava la delegazione serba. Per protesta contro questa decisione, Slovenia e Croazia abbandonarono il congresso.
Un mese dopo a Knin fu fondato il Partito Democratico Serbo (SDS) di Croazia da parte di Jovan Raskovic. Nel programma vi era l’affermazione che la “divisione regionale della Croazia è superata” e che “non corrispondeva con gli interessi della popolazione serba“. Vi era la richiesta di revisione dei confini regionali e municipali, in linea con quanto sosteneva Milosevic: i confini jugoslavi erano superati, bisognava riunire tutti i serbi sotto un’unica nazione. Tra i membri di spicco dell’SDS c’erano Milan Babic e Milan Martic, in seguito divenuti funzionari di vertice della Repubblica Serba di Krajina (RSK). In seguito, quando fu incriminato all’Aja per crimini di guerra, Babic si difese dicendo come all’epoca ci fosse un campagna di propaganda diretta da Belgrado atta a dipingere i serbi di Croazia come vittime di un genocidio. Il 4 marzo 1990, si tenne a Petrova Gora una manifestazione alla quale parteciparono almeno 50.000 serbi. I partecipanti lanciarono accuse contro il leader croato, Tuđman, urlando lo slogan “Questa è Serbia“, manifestando in supporto a Milošević.
Le prime elezioni libere in Croazia e Slovenia si tennero pochi mesi dopo. Il primo turno in Croazia ebbe luogo il 22 aprile 1990, mentre il secondo il 6 maggio 1990. L’HDZ fondò la sua campagna elettorale su un violento nazionalismo sciovinista atto a denunciare l’ingerenza di Milosevic nelle questioni croate. Il partito di Tudman vinse le elezioni, seguito dai comunisti riformatori di Ivica Racan e dal Partito Socialdemocratico di Croazia, ricevendo così l’incarico di formare un nuovo governo croato.
Il 30 maggio 1990 si tenne la prima seduta del nuovo parlamento. Tudman presentò il manifesto per la nuova Costituzione, ratificata a fine anno, che avrebbe previsto diversi cambiamenti politici, economici e sociali, estendendo nuovi diritti di tutela delle minoranze, in particolare verso quelle serbe. I politici serbi locali si opposero alla nuova costituzione, in quanto ritenevano, a torto, che la popolazione serba sarebbe stata minacciata. La loro principale preoccupazione era che d’ora in avanti la Croazia veniva definita come “la nazione del popolo croato e di tutti gli altri popoli che vi vivevano” e non più come la “nazione del popolo croato, serbo e di tutti gli altri popoli che vi vivevano“. Nel 1991 i serbi rappresentavano il 12% della popolazione, ma a livello di incarichi erano di più. Infatti il 17% dei funzionari statali era serbo. In precedenza la percentuale era anche maggiore, il che portò a pensare che i serbi fossero i custodi dell’ortodossia comunista. Dopo l’ascesa al governo dell’HDZ, alcuni dei serbi impiegati nella pubblica amministrazione, specialmente nella polizia, persero il loro incarico e vennero sostituiti da croati.
Il 22 dicembre 1990 il parlamento croato ratificò la nuova Costituzione che cambiò lo status dei serbi da “nazione costitutiva” a “minoranza nazionale”. Ciò fu visto dai serbi come una discriminazione che portava a perdere alcuni diritti e li spinse verso le posizione più estreme. Comunque, la costituzione definiva la Croazia come “lo stato nazionale della nazione croata, uno stato di appartenenti ad altre nazioni e minoranze che sono suoi cittadini: ai serbi … è garantita parità di diritti con i cittadini di nazionalità croata ...”
Il 25 luglio 1990 venne costituita un’Assemblea Serba a Srb, città situata a nord di Knin, quale rappresentanza politica dei serbi di Croazia. L’assemblea proclamò l’autonomia dei serbi di Croazia. Il passo successivo fu la proclamazione della Regione autonoma serba di Krajina il 21 dicembre 1990. L’articolo 1 dello statuto regionale la definiva come “una forma di autonomia territoriale all’interno della Croazia” nella quale veniva applicata la Costituzione croata e le leggi e lo statuto della regione.
L’elezione di Tudman e la nuova Costituzione croata vennero percepiti come una minaccia dai nazionalisti serbi della regione autonoma, il che lì porto a compiere azioni armate contro i funzionari governativi croati. Molti furono espulsi con la forza o esclusi dalla gestione della regione. Le proprietà governative croate della regione vennero progressivamente controllate dalle municipalità del neo-costituito “Consiglio Nazionale Serbo“. Questo in seguito divenne il governo della secessionista Repubblica Serba di Krajina (RSK).
Nell’agosto del 1990 si tenne un referendum non riconosciuto internazionalmente, mono-etnico e autogestito nei territori che poi sarebbero andati a formare la Repubblica Serba di Krajina. L’obiettivo era quello di limitare i cambiamenti introdotti dalla nuova costituzione croata. Il governo croato tentò di impedire lo svolgimento del referendum inviando la polizia, soprattutto per sequestrare le armi in mano ai serbi. Le forze dell’ordine croate si trovarono di fronte la resistenza dei serbi, che organizzarono blocchi stradali verso la Dalmazia. Allora Tudman decise di inviare le forze speciali della polizia con elicotteri, ma essi furono intercettati dai caccia dell’aeronautica militare jugoslava e obbligati a rientrare a Zagabria. I Serbi tagliarono alberi di pino o usarono bulldozer per bloccare le strade e isolare città come Knin e Benkovac, situate nei pressi della costa adriatica. Il 18 agosto 1990, il giornale serbo Vecernje novosti affermò che circa “due milioni di serbi sono pronti per andare in Croazia a combattere”.
Immediatamente dopo il referendum che sancì l’indipendenza slovena e dopo la nuova Costituzione croata, la JNA annunciò una nuova dottrina militare. La vecchia dottrina di Tito secondo la quale ogni repubblica manteneva al proprio interno dei reparti delle Forze di difesa territoriale (TO) fu sostituita da un sistema di difesa controllato dal Centro della federazione. Le repubbliche avrebbero perso il loro ruolo nel campo della difesa e le loro Forze di Difesa Territoriale, (TO), sarebbero state disarmate e subordinate al quartier generale della JNA di Belgrado. Venne pubblicato un ultimatum nel quale si chiedeva lo scioglimento e il disarmo delle forze armate illegali presenti all’interno della Jugoslavia. Poiché il testo originale dell’ultimatum non specificava quali forze erano considerate illegali, le autorità centrali jugoslave subito specificarono che la richiesta era più precisamente diretta nei confronti delle forze armate ufficiali della Croazia. Le autorità croate si rifiutarono di obbedire all’ultimatum e l’esercito jugoslavo lo ritirò sei giorni dopo la sua pubblicazione.
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