IL MAPPAMONDO – Tripletta di elezioni in Africa: prove di democrazia in CAR, primo turno in Niger e opacità in Uganda

Negli ultimi giorni si sono svolti tre importantissimi match elettorali, che contribuiranno a determinare il volto dell’Africa nei prossimi anni. La prima sfida è stata quella della Repubblica Centrafricana, dove si è svolto il ballottaggio. La seconda, le Presidenziali in Uganda, svoltesi in maniera opaca, turbolenta e a tratti anche violenta. La terza, il primo turno nella Repubblica del Niger.
CENTRAFRICA
Nella Repubblica Centrafricana si è svolto nella passata giornata di San Valentino il secondo turno delle elezioni presidenziali, che hanno visto trionfare il candidato del compromesso, Faustin-Archange Touadéra.
Come si rammentava nell’articolo relativo al primo turno, queste elezioni sono la prima vera prova di democrazia del Centrafrica, portato dalla Presidente della transizione Catherine Samba-Panza fuori dalla sanguinosa guerra di religione, iniziata nel 2012 tra gli islamisti Séleka e gli estremisti cristiani AntiBalaka e sfociata successivamente alla detronizzazione dell’ex Presidente autoritario François Bozizé.
La figura di Touadéra, supportata dalle forze francesi e internazionali, non è nuova nella politica del Paese, giacché lo stesso faceva parte del partito Kwa Na Kwa, riferimento politico di Bozizé, di cui era anche stato Primo Ministro prima di dissociarsene pubblicamente. Dologuélé appariva invece il “candidato in sostituzione” di François Bozizé, al quale è stato impedito, per comprensibili ragioni, di partecipare.
Per timore di un ritorno al passato, i Centrafricani hanno fatto al secondo turno qualcosa di molto simile a quanto fatto dai Burkinabé in seguito alle recenti elezioni democratiche: hanno fatto in modo di non far vincere il candidato considerato più in continuità con il precedente regime, ma hanno, allo stesso tempo, scelto un candidato che aveva avuto, in passato, dei rapporti con questo, dissociandosene in un secondo momento. Un candidato che rappresenta allo stesso tempo continuità, ma cambiamento in senso democratico, esattamente come Roch Kaboré in Burkina Faso.
L’affluenza è stata piuttosto alta: ben il 59,01% degli elettori si è recato a votare contro il 62,54% del primo turno. Le elezioni sono state considerate relativamente democratiche e pacifiche, e perfino Dologuélé, pur denunciando frodi, ha riconosciuto la vittoria dell’avversario. Touadéra si insedierà il prossimo 11 marzo come Presidente.
UGANDA
Se un Paese come il Centrafrica si avvia verso la pace e la democrazia, l’Uganda, al contrario, acquisisce le tinte fosche della dittatura, e si avvia potenzialmente verso una fase di instabilità e di lotte interne.
Le elezioni del 18 febbraio 2016 non sono infatti state considerate, dagli osservatori internazionali, elezioni libere e trasparenti. Vincitore si è rivelato, con un risultato al di sopra delle aspettative e delle previsioni, il Presidente uscente Yoweri Museveni, con il 60,75% dei suffragi, appartenente alla destra nazionalista del Movimento di Resistenza Nazionale, che ha ottenuto 5,6 milioni di voti contro i 3,2 del candidato della principale opposizione liberale del Forum per il Cambiamento Democratico, Kizza Besigye (35,37%). L’affluenza è arrivata al 63,50%.
Le elezioni sono state infatti caratterizzate da un blocco totale dei media pericolosi per l’attuale presidenza di Museveni, in carica ininterrotta da ben trent’anni (e cioè dal lontano 1986), da scontri e violenze con feriti e qualche vittima, ma anche da arresti di membri dell’opposizione. Secondo Human Rights Watch, il governo avrebbe ingaggiato decine di disoccupati per intimorire gli oppositori e impedire il pubblico dibattito.
La polizia ha arrestato e rilasciato più volte attivisti, politici del Forum per il Cambiamento Democratico, politici delle altre opposizioni, e Besigye stesso, che, una volta appreso della sconfitta, ha chiesto ai propri sostenitori e ai cittadini di mobilitarsi in piazza contro Museveni.
La destra nazionalista di Museveni si è caratterizzata in questi anni per una forte influenza estera da parte di gruppi estremisti religiosi, in particolare evangelici, americani; la battaglia per imporre e diffondere l’evangelismo nel Paese, la repressione della minoranza omosessuale, hanno permesso a Museveni di distrarre la popolazione e continuare a regnare in una sorta di “democratura”, dove si permetteva parzialmente l’esistenza di forze di opposizione, ma di fatto si dominava la scena senza davvero accettare le rivalità.
In questo momento, la “democratura” di Museveni sta formalmente ed esplicitamente assumendo connotati di aperta dittatura.
L’Unione Europea, l’Occidente, ed alcuni partners africani, temono che nel Paese le annunciate proteste possano prendere una brutta piega. Se si è resa opportuna l’equazione Burkina Faso e Repubblica Centrafricana nel cammino verso la democrazia, rischia di rendersi evidente l’analogia tra la discesa del Burundi di Nkurunziza (contro il quale sono in atto manifestazioni di piazza, e che è stato incolpato tra le altre cose di aver utilizzato fosse comuni – in senso letterale – per gli oppositori politici), e quella dell’Uganda di Museveni, verso la dittatura aperta.
NIGER
Il Niger, dal 2011 eccezione democratica dei Paesi del Sahel insieme al Mali, è andato ad elezioni presidenziali il 21 febbraio 2016. Secondo i dati provvisori, il candidato che ha ottenuto più voti al primo turno è stato l’uscente Mahamadou Issoufou, con il 36,91% dei suffragi, contro il 22,72% del centrodestra moderato di Hama Amadou. Ma sarà possibile avere i dati definitivi solo nei prossimi giorni.
Il Niger ha una storia molto interessante, perché giudicato relativamente democratico rispetto a tanti altri Paesi del sahel e della bassa regione del Sahara, come la Mauritania, il Ciad e il Sudan, l’Eritrea, tutte dittature a tratti (come nel caso dell’Eritrea e del Sudan) anche conosciute come tra le più spietate. Solo il Mali eguaglia il Niger, sia nel bene sia nel male: esattamente come la nazione con cui confina a Occidente il Niger ha spesso avuto problemi nel rapporto con i locali tuareg del deserto.
Nonostante tutto, le polemiche non sono mancate: Amadou, il candidato di opposizione, è in carcere (e si ritiene prigioniero politico) per una torbida storia di traffico internazionale di minori, con indagini ancora in corso. I risultati definitivi ci diranno se il Niger rischia di eleggere un Presidente recluso, e cosa ne penseranno gli osservatori internazionali.
Altre notizie:
- In Bolivia il Presidente Evo Morales rischia di perdere un referendum per l’abrogazione dei limiti di mandato: se i risultati reali confermassero gli exit poll, più del 52% degli elettori boliviani con il proprio NO renderebbe impossibile a Morales, al governo dal 2006, una quarta presidenza.
Per questa settimana è tutto.
Alla prossima elezione!
By Skorpios