IL MAPPAMONDO – Elezioni in Portogallo, stravince il candidato del centrodestra; i misteriosi intrighi parlamentari della Repubblica di Vanuatu

Il 24 gennaio si sono svolte le elezioni presidenziali in Portogallo: le elezioni forse più importanti del Paese, in quanto il Portogallo è una repubblica presidenziale. Due giorni prima si erano tenute le parlamentari nelle isole oceaniche di Vanuatu. Lo stesso giorno, invece, si dovevano tenere le contestate elezioni presidenziali ad Haiti, annullate, però, a causa delle proteste dell’opposizione.

PORTOGALLO

Alle elezioni portoghesi ha stravinto, già al primo turno, il candidato del centro-destra Marcelo Rebelo De Sousa.

PORTOGALLO

De Sousa era considerato come favorito fin da subito, da tutti i sondaggi: una vittoria che quindi appariva scontata. I suoi principali avversari erano Antonio Sampaio De Novoa, professore universitario nella facoltà di psicologia di Lisbona, candidatura formalmente indipendente ma sostanzialmente sostenuta da parte della sinistra, e in particolare dal Partito Comunista dei Lavoratori e dai verdi di LIVRE; Maria de Belèm, anch’essa presentatasi come indipendente ma ex segretaria generale del Partito Socialista, nonché sua Ministra della Salute e Ministra delle Pari Opportunità (un po’ una Rosy Bindi portoghese), partito a cui appartiene il premier Antonio Costa; le candidature, non unitarie, dell’estrema sinistra del Partito Comunista Portoghese (Edgar Silva) e del Blocco di Sinistra (Marisa Matias). La frammentazione estrema delle sinistre e l’unità del centrodestra nel sostegno al candidato del Partito Socialdemocratico, hanno portato quest’ultimo a vincere al primo turno.

Portogallo 2

Gli altri candidati hanno ottenuto tutte percentuali inferiori al 5%; il flop è stato particolarmente significativo per Maria de Belem, nonché, nonostante la levatura indipendente della candidata, per il partito al governo, impegnato in una difficile coabitazione con la sinistra anche estrema del Blocco, del PCP e del Libre e nel tentativo di non spaventare troppo i Paesi fautori dell’austerity europea. Belem aveva investito ben 650 mila Euro in una campagna che non ha avuto il successo sperato. Amarezza per De Novoa, che, in caso di ballottaggio, poteva confidare in un appoggio degli elettori di tutte le sinistre nel secondo turno.

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Nella mappa i 18 distretti portoghesi: De Sousa è arrivato primo in tutti quanti i distretti. Solo al Sud (nelle zone colorate in celeste più chiaro) la vittoria non è stata così netta da permettergli di ottenere almeno il 50% dei suffragi.
A favore di De Sousa, grande conquistatore di masse anche in tv, si era speso perfino il tecnico calcistico Josè Mourinho.

Anibal Cabaco Silva, Presidente attualmente al potere, sarà quindi sostituito da un successore che si annuncia fautore di una linea di continuità. Liberale in economia, conservatore, attento alle opinioni dei partner europei, ferocemente antiabortista, Marcelo De Sousa  è figlio d’arte, dell’ex Ministro Baltasar Rebelo De Sousa, ed è stato giornalista di spicco sin dai tempi della Rivoluzione dei Garofani, ex Ministro per i Rapporti col Parlamento, leader del Partito Socialdemocratico alla fine degli anni ’90 e abile commentatore dell’attualità in tv. De Sousa si presenta come un’ulteriore potenziale grana per il governo in carica. L’elezione presidenziale, infatti, ha forse maggiore rilievo di quella parlamentare (si ricorda che a Lisbona il Presidente, che ha compiti piuttosto importanti, non ha un profilo imparziale come quello, per esempio, del Capo di Stato del nostro Paese).

Gli elettori spaventano il governo di Antonio Costa, che sta cercando di allentare le tenaglie e di frenare i tagli dell’austerity. Probabilmente i Portoghesi hanno scelto un modo per temperare le politiche della maggioranza di sinistra ed evitare un “effetto Tsipras”. Si rischia, d’altra parte, che questa decisione si riveli un boomerang, se la maggiore frammentazione del potere politico dovesse causare ulteriori contrasti istituzionali e quindi ulteriore instabilità politica.

 

VANUATU

Il 22 gennaio si sono svolte le elezioni nella piccola repubblica parlamentare di Vanuatu.

VANUATU

Vanuatu, arcipelago della regione melanesiana a Est dell’Australia, ma con un discreto numero di abitanti (258.000 circa), ha avuto, al contrario delle altre isole del Pacifico, una storia politica del tutto particolare, caratterizzata da governi brevi e molto litigiosi. Le mozioni di sfiducia, i complotti e le trame per il potere si sprecano: si può quasi dire che, politicamente, Vanuatu sia una piccola Italia dell’Oceano Pacifico; dal 2008 la Repubblica con capitale Port Vila ha infatti avuto la bellezza di dodici governi.

Il dodicesimo, quello dell’attuale Primo Ministro Sato Kilman, è venuto alla luce dopo che quest’ultimo, già tre volte capo del Governo, è salito al potere in seguito a una sfiducia allo stesso premier (Joe Natuman) che l’aveva fatto Ministro degli Esteri. Natuman, a sua volta, era andato al governo dopo una sfiducia parlamentare al Governo precedente e varie trame all’interno degli organi legislativi.

Il sistema elettorale è quello del “voto singolo non trasferibile”, una specie di maggioritario annacquato di proporzionale, con collegi plurinominali.

I risultati elettorali hanno punito i partiti tradizionali e i loro intrighi: primo partito, la destra nazionalista e conservatrice del Partito della Terra e della Giustizia, capeggiato da Ralph Regenvanu, che ha conquistato 6 seggi. Al secondo posto, ma con lo stesso numero di seggi, la sinistra socialista del Vanu’aku Pati dell’ex premier Joe Natuman, fatto sfiduciare da Kilman. Al terzo posto, ma pari merito quanto a seggi, il centrodestra francofono dell’Unione dei Partiti Moderati del già cinque volte premier Serge Vohor. Quattro seggi per il Partito Iauko, di Harry Iauko, ex ministro espulso dal Vanu’aku Pati e coinvolto in accuse di corruzione.

Si può dire che gli elettori  appaiano, visti questi risultati, davvero stufi delle trame politiche interne, che hanno caratterizzato in maniera particolare il centrosinistra vanuatuense: il partito del premier, il socialdemocratico Partito Popolare del Progresso,  afflitto tra l’altro da diverse accuse di corruzione, crolla di ben cinque seggi, e ottiene solo un seggio. 


Sapere chi governerà il Paese appare oggi impossibile, perché i seggi in Parlamento sono 52, e il primo partito nella camera legislativa è quello costituito, con ben 10 presenze, da candidati indipendenti. Gli intrighi parlamentari della Repubblica di Vanuatu non sono certo finiti.

 

Altre notizie:

  • Il secondo turno delle elezioni ad Haiti si doveva tenere il 24 gennaio, ma è stato rimandato dal Presidente Michel Martelly dopo le violente proteste di piazza. I manifestanti hanno chiesto da un lato le dimissioni di Martelly, dall’altro di sancire ufficialmente l’invalidità del primo turno, che ha visto ottenere la corsa al ballottaggio Jude Celestin, della Lega Alternativa per il Progresso e l’Emancipazione Haitiana, e Jovenel Moise, arrivato primo con il 32,81%, del PHTK, partito di centrodestra sostenitore del Presidente. Gli estromessi dal secondo turno non ci stanno: chiedono una nuova tornata elettorale completa. Le elezioni sono così state rimandate, solo due giorni prima dell’apertura dei seggi, a data da destinarsi;
  • Il Parlamento di Tobruk, che ha da diventare il nuovo parlamento unitario di Libia secondo il piano delle Nazioni Unite, pur ratificando definitivamente il piano stesso, ha detto no, a larga maggioranza, al governo presentato da Fayez Al-Serraj, chiedendo un rimpasto dei ministri. Le cose si fanno particolarmente complicate anche perché, dall’altra parte, il Governo di Tripoli fa ancora più resistenze del suo rivale sito in Cirenaica.

 

Anche per questa settimana è tutto.

Alla prossima elezione! By Skorpios

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