IL MAPPAMONDO – La svolta democratica in Burkina Faso, speranze e qualche neo

Il 29 novembre 2015 si sono svolte le prime elezioni democratiche in Burkina Faso dagli anni ’80, e, secondo alcuni, le prime veramente democratiche in assoluto. E’ stato eletto Presidente Roch Marc Christian Kaboré.
BURKINA FASO
Kaboré ha vinto al primo turno con più del 50% dei voti. L’affluenza, molto alta considerando che le elezioni erano le prime vere elezioni nel Paese africano con una storia di dittature alle spalle, è stata intorno al 60%: più di tre milioni e trecentomila burkinabé si sono recati ai seggi.
Tutti gli altri candidati si sono fermati sotto il 5% dei suffragi.
Il National Rebirth Party, di Tahirou Barry, è arrivato al 3,09%. Un vero e proprio flop, invece, quello della sinistra sankarista di Bénéwendé Stanislas Sankara, solo omonimo del vecchio Presidente Thomas Sankara. Sankara è stato spesso osannato dalla sinistra internazionale come “Che Guevara” africano che si oppose all’imperialismo e incrementò i diritti delle donne, ma è stato anche accusato da Amnesty International, come del resto la quasi totalità degli altri Capi di Stato del Paese, di plurime violazioni dei diritti umani e di tortura sugli oppositori.
Il leader dell’antimperialismo burkinabé fu assassinato dal colpo di Stato di cui era principale attore l’a sua volta decaduto Blaise Compaoré. In queste elezioni, l’Unione per la Rinascita / Partito Sankarista ha tentato, invano, di concretizzarne nuovamente gli ideali, fermandosi però al 2,77%. Gli altri candidati non sono andati oltre il 2%.
Il voto è stato caratterizzato diversi elementi di novità, e qualche piccolo neo dovuto alla contemporanea presenza di taluni elementi di continuità.
Un piccolo ripasso del cammino, durato un anno, che ha portato a queste elezioni: il 28 ottobre 2014 sono scoppiate proteste in tutto il Paese per i tentativi – come che accade spesso nei Paesi africani – del dittatore Blaise Compaoré, in carica dal colpo di Stato del 1987, di spezzare i limiti costituzionali che ne potevano mettere in discussione la riconferma al potere come Presidente. Compaoré, giunto al potere contestualmente all’uccisione di Sankara nel 1987, ha vinto ben quattro volte le elezioni con percentuali imbarazzanti, boicottate dall’opposizione e ritenute poco credibili da tutte le organizzazioni dei diritti umani e dagli osservatori internazionali. All’ennesimo tentativo di restare in carica, il popolo burkinabé si è ribellato e ha costretto Compaoré a rifugiarsi in Costa d’Avorio. Con un passaggio di poteri relativamente pacifico, la presidenza ad interim è passata nelle mani dei militari Honoré Traoré, Yacouba Isaac Zida e poi dell’attuale Presidente Michel Kafando.
Tutto sembrava andare per il meglio, così le nuove istituzioni in poco tempo hanno indetto nuove elezioni multipartitiche per far passare il Paese dalla dittatura alla democrazia, interdicendo la candidatura ai membri attivi del regime al momento della caduta di Compaoré, così come ai membri dei servizi segreti personali del Presidente, il Reggimento per la Sicurezza Presidenziale, diventato di fatto braccio armato contro l’opposizione nei decenni della Presidenza Compaoré. Ma proprio a causa di questo divieto e delle minacce di procedimenti penali, alcuni membri del Reggimento hanno promosso un nuovo colpo di Stato il 16 settembre di quest’anno. Comandati dal Generale Gilbert Dienderé, il Reggimento ha fatto arrestare il Presidente Kafando e il Primo Ministro, e ha annullato le elezioni previste. Ma la nuova giunta militare è durata ben poco: sotto le pressioni di tutta la comunità internazionale e praticamente di tutta l’Unione Africana, dopo una settimana Dienderé è stato costretto ad arrendersi e a cedere al compromesso proposto nel corso della mediazione dei Presidenti del Senegal e del Benin Macky Sall e Yayi Boni. Tale mediazione ha previsto il ritiro dei golpisti in cambio dell’immunità – condizione poi non rispettata dalla giustizia burkinabé.
Così si sono tenute le elezioni, che hanno avuto un ottimo riscontro di partecipazione, e ottimi giudizi da parte degli osservatori internazionali, in primis dalla Missione degli Osservatori dell’Unione Europea capeggiata dall’italiana Cécile Kyenge. Le elezioni si sono infatti svolte regolarmente e nella più totale tranquillità.
Ciononostante, non è mancato qualche neo. Infatti, diversi candidati Presidenti, erano stati precedenti membri delle amministrazioni Compaoré. In particolare, il secondo arrivato Diabré era stato Ministro delle Finanze di Compaoré, e Kaboré ne era stato perfino Primo Ministro, ed era passato all’opposizione solo all’inizio del 2014, forse annusando l’aria di declino e di fine prossima che si respirava già allora nei palazzi presidenziali.
Roch Kaboré è arrivato quindi primo, ottenendo la maggioranza assoluta già dal primo turno.
All’assemblea nazionale i seggi sono stati così ripartiti: 55 seggi al Movimento Popolare per il Progresso, 33 seggi all’Unione per il Progresso e il Cambiamento, 18 seggi per il Congresso per la Democrazia e il Progresso (vecchio partito di Compaoré), 5 per l’Unione per la Rinascita /Partito Sankarista, 16 per gli altri partiti, per un totale di 127 seggi, di cui tuttavia il partito del vincente Kaboré non ha la maggioranza. Serviranno pertanto degli accordi con altre forze politiche.
Di buon auspicio, comunque, sono state le parole del secondo arrivato, Zephirin Diabré, che si è congratulato immediatamente con Kaboré e ha riconosciuto la legittimità della sua vittoria. Cosa impensabile perfino in alcuni Paesi occidentali, come l’Italia.
Altre notizie:
- Il 3 dicembre 2015 si è tenuto in Danimarca un referendum per decidere il futuro delle clausole opt-out che riguardano i rapporti tra l’Unione Europea e il Paese in tema di interni e giustizia. Il quesito posto agli elettori concerneva il loro assenso o meno ad adottare una soluzione più vicina a quella del Regno Unito e Irlanda, con un’opt-out da decidere caso per caso, anziché mantenere la soluzione attuale dell’opt-out generalizzato. Il SI’ era sostenuto da tutti i partiti europeisti, tra cui il centro-destra popolare di Venstre, e i Socialdemocratici. Il NO era sostenuto non solo dall’estrema destra del Partito del Popolo Danese, ma anche dagli ecosocialisti dell’Alleanza Rosso-Verde. Si profila una sconfitta per gli europeisti: dai primi risultati, il no avrebbe preso il 53,05% a fronte del 46,95% di sì.
Attualmente in Danimarca governa la Venstre con il premier Lars Lokke Rasmussen, insieme al Partito del Popolo Danese, il quale fornisce l’appoggio esterno. Con scelte politiche conseguenti, in primis sulla questione profughi siriani. Con questo voto, l’estrema destra, già secondo partito alle elezioni di giugno, conferma la sua forza nel Paese nordico. - In Portogallo è stato nominato premier Antonio Costa, che ha formato un nuovo governo composto interamente da socialisti e tecnici, che avrà l’appoggio anche dell’estrema sinistra. Il Presidente Silva, però, ha voluto che lo stesso sottoscrivesse un impegno al rispetto dei parametri europei.
Anche per questa settimana è tutto.
Alla prossima elezione!
by
Skorpios