Analisi Istituto Cattaneo: l’effetto Renzi regala quasi 6 punti al Pd, la figura di Grillo vale un +7,3%

Che cosa è cambiato nel 2014? La presenza di un nuovo leader per il centrosinistra ha rappresentato una “svolta buona” per il Partito Democratico? In questo caso, i dati sono in netta controtendenza rispetto a quanto mostrato in precedenza. Nel confronto tra i risultati del 2009 e quelli del 2014 presentati nella tab. 2, emergono almeno tre elementi significativi degni di nota:
1) innanzitutto, con la leadership di Matteo Renzi il PD è riuscito ad eliminare quella fonte di svantaggio competitivo che lo rendeva un partito acefalo (o con troppe teste) di fronte ad un competitor con una leadership unica e chiaramente riconosciuta. Infatti, se nel 2009 lo scarto per il PD tra voto nelle europee e voto nelle comunali era ancora negativo (-0,1%), nel 2014 lo scarto non solo diventa positivo, ma aumenta notevolmente (5,8%). Ancor più esplicitamente: se in passato era il “partito dei sindaci” del centrosinistra a trainare il partito nazionale, oggi è il partito dell’ex-sindaco di Firenze a trascinare elettoralmente gli amministratori locali. A differenza del passato, oggi il PD è un partito con un leader in grado di competere ad armi pari con le altre leadership nazionali;
2) il percorso di Forza Italia è, invece, speculare rispetto a quello del Partito Democratico. Se fino al 2009 il partito di Berlusconi poteva contare su un tesoretto elettorale (5,4%) garantito dal leader-fondatore di Forza Italia, nel 2014 la leadership berlusconiana sembra essersi appannata e decisamente ristretta (1,3%). In parte per il naturale scorrere del tempo e in parte per l’impossibilità di Berlusconi di sfruttare appieno tutte le sue doti di navigato comunicatore in campagna elettorale, il magro risultato raggiunto da Forza Italia testimonia ancora una volta che ci troviamo di fronte ad un partito personale: quando si inceppa il motore, ne risenta tutta la macchina.
3) per quanto riguarda il M5S, ovviamente non è possibile fare nessuna comparazione diacronica e dobbiamo limitarci ad analizzare il dato riferito al 2014. Com’era lecito aspettarsi, considerata sia la specifica genesi del M5S che la sua maggiore difficoltà di radicamento e coordinamento a livello territoriale (testimoniato, di recente, anche dalla sua assenza nelle elezioni regionali in Sardegna), la leadership di Beppe Grillo è quella che, tra i tre leader qui esaminati, contribuisce maggiormente (7,3%) al successo o alla tenuta del proprio partito.
Per concludere, la fig. 1 ci permette di osservare in una prospettiva storica più ampia quanto fin qui argomentato. Come si nota immediatamente, la leadership di Matteo Renzi è stata, fino ad oggi, l’unica, tra le numerose che si sono susseguite negli ultimi quindici anni, a rappresentare un valore aggiunto per il principale partito del centrosinistra. Questo dato è ancor più significativo perché emerge in un momento segnato dal progressivo indebolimento della figura di Silvio Berlusconi. In mezzo a queste due leadership, una crescente e l’altra calante, si innalza quella di Beppe Grillo, la cui leadership, nonostante il risultato delle elezioni europee al di sotto delle loro stesse aspettative, sembra essere ancora un asso nella manica dei grillini.