Le Guerre jugoslave (1990-1995) – Guerra d’Indipendenza slovena

Nell’aprile del 1990 in Slovenia si tennero le prime elezioni libere e multipartitiche dalla presa del potere di Tito. Esse furono vinte dalla coalizione DEMOS che comprendeva i seguenti partiti:

  • Unione Democratica Slovena (SDZ): centristi;
  • Alleanza Socialdemocratica di Slovenia (SDZS): centrodestra, precedentemente socialdemocratico anticomunista;
  • I Democratici Cristiani Sloveni (SKD): centrodestra;
  • Lega Agricola Slovena (KZ-SLS), successivamente Partito Popolare Sloveno: centrodestra;
  • Verdi (ZS): centrosinistra.

Il passo successivo della piccola nazione ribelle fu quello di chiamare il proprio popolo ad esprimersi su un referendum riguardante la propria indipendenza (30 dicembre 1990), che fu approvato con l’88% dei voti. Il governo sloveno era ben conscio che sarebbe incorso nella furiosa reazione di Belgrado e l’Armata Popolare di Jugoslava (JNA) annunciò che avrebbe applicato una nuova dottrina di difesa nel paese. La dottrina di Tito della “Difesa popolare generale”, nella quale ogni repubblica manteneva una forza di difesa territoriale (Teritorijalna odbrana o TO), sarebbe stata sostituita da quel momento in poi da un sistema di difesa centralizzato. Le repubbliche avrebbero perso il proprio ruolo nelle questioni di difesa e le proprie forze territoriali sarebbero state disarmate e subordinate ai quartieri generali della JNA a Belgrado.

Tuttavia, il governo sloveno impedì che la maggior parte dell’equipaggiamento della TO finisse nelle mani della JA. Un emendamento costituzionale del del 28 settembre 1990 passò la TO sotto il diretto controllo del governo sloveno.  Allo stesso tempo, il governo sloveno allestì una struttura segreta alternativa di comando, nota come “Struttura di manovra per la protezione nazionale” (Manevrska struktura narodne zaščite, o MSNZ). Era una sorta di milizia nazionale di autodifesa che doveva affiancare la TO.

Quando la JNA provò a prendere il controllo della TO, il governo slovenò la sostituì semplicemente con la MSNZ. Tra il maggio e l’ottobre del 1990, circa 21.000 militari della TO e poliziotti vennero mobilitati segretamente nella struttura di comando della MSNZ, della cui esistenza il governo federale era completamente all’oscuro. Il governo sloveno inoltre intraprese una pianificazione dettagliata di una campagna militare contro la JNA, che sfociò in piano tattico e operativo per il novembre 1990, già sette mesi prima dello scoppio effettivo del conflitto.

La Slovenia sapeva benissimo che non avrebbe potuto resistere a lungo alla forza dell’esercito jugoslavo, perciò mise in atto una tattica basata sulla guerra asimmetrica (artefice il Ministro della Difesa Janez Jansa). Essa si basava sulla guerriglia, utilizzando armi anticarro e missili di contraerea per tendere delle imboscate alle unità della JNA. Avrebbero potuto intrappolare le colonne di carri armati distruggendo il primo e l’ultimo veicolo su terreni favorevoli — ad esempio su una stretta via di montagna, dove lo spazio per le manovre sarebbe stato limitato – permettendo di affrontare il resto dei veicoli più facilmente. Il governo sloveno si rifornì di armi straniere, soprattutto i SA-7 Grail (Strela), missili di contraerea e il sistema anticarro Armbrust di fabbricazione tedesca. Doveva prevalere la tattica del mordi-e-fuggi, visto che affrontare a viso aperto la JNA sarebbe stato un disastro.

Sul fronte diplomatico nè la Comunità Europea nè gli USA erano disposti a riconoscere l’indipendenza della Slovenia e propugnavano la continuazione della Jugoslavia unita, al che il governo cercò supporto internazionale negoziando una frammentazione pacifica della Jugoslavia, ma venne respinta dalla comunità internazionale che preferiva accordarsi con una singola federazione, piuttosto che con le singole entità. La Slovenia sostenne con forza la sua indipendenza, denunciando la mancanza di democrazia di Belgrado.

Il governo jugoslavo aveva pianificato di invadere la Slovenia il 26 giugno, giorno in cui il governo sloveno avrebbe dovuto dichiarare l’indipendenza. Con una mossa a sorpresa, l’esecutivo della neonata repubblica dichiarò l’indipendenza da Belgrado il 24 giugno 1991, quindi 2 giorni prima della data stabilita. In questa maniera Lubiana sperava di prendere in contropiede Belgrado.

L’esercito jugoslavo era diviso sulla tattica da seguire nei confronti della Slovenia. Il capo di stato maggiore, il colonnello-generale Blagoje Adzic, era per la guerra totale in modo da rimuovere il neonato governo sloveno e sostituirlo con uno fedele. Al contrario, il suo superiore politico, il Ministro della Difesa Generale dell’esercito Veljko Kadijevic insisteva su un approccio più cauto, essenzialmente una dimostrazione di forza, che avrebbe convinto il governo sloveno a ritornare sui propri passi. Dopo alcune discussioni Kadijević ebbe la meglio.

Non è chiaro quanti membri civili del governo jugoslavo fossero coinvolti nella decisione di ricorrere alla forza in Slovenia. Ante Markovic, il presidente del Consiglio esecutivo federale (l’equivalente del primo ministro) avrebbe affermato che il governo federale non era stato informato delle azioni dell’esercito.

Il 26 giugno iniziarono le operazioni. Alcune unità del tredicesimo corpo della JNA lasciarono le proprie caserme a Fiume per dirigersi verso il confine sloveno con l’Italia. La risposta slovena fu immediata. Si formarono blocchi spontanei e proteste contro le azioni della JNA. Non ci furono ancora combattimenti, sembrava che entrambe le parti adottassero una politica di non essere i primi ad aprire il fuoco.

Il governo sloveno aveva già messo in atto il piano di prendere il controllo degli avamposti di dogana sui confini e dell’aeroporto internazionale di Brnik. L’operazione fu facilitata dal fatto che la maggior parte del personale di frontiera era sloveno, il che portò a un semplice cambio di divisa e di segnali stradali. Prendendo il controllo dei confini, gli sloveni erano in grado di erigere una linea difensiva contro l’avanzata della JNA. Ciò significava che le truppe della JNA avrebbero dovuto aprire il fuoco per prime.

Il giorno successivo ci furono ulteriori movimenti di truppe jugoslave. Un’unità del 306° reggimento antiaereo della Croazia, di stanza a Karlovac,  attraversò il confine sloveno a Metlika. Alcune ore più tardi, una colonna di carri armati e di trasporti lasciò i propri quartieri a Vrhnika, vicino alla capitale slovena Lubiana, dirigendosi verso l’aeroporto di Brnik. La struttura cade in mano jugoslava in poche ore. Bisogna ricordare che essendo la JNA l’esercito federale, le sue unità erano di stanza in ognuna delle repubbliche, Slovenia compresa. Ad est le unità della JNA lasciarono Maribor dirette verso il vicino posto di confine a Sentilj e la città di confine di Dravograd ancora più ad ovest. L’avazione jugoslava iniziò a lanciare volantini recanti minacce di resa immediata.

Nelle prime ore del 27 giugno il governo sloveno venne informato dei movimenti delle truppe jugoslave. Il comando del Quinto distretto militare, che includeva la Slovenia, informò il presidente sloveno che le sue manovre erano atte solo ad occupare le dogane e l’aeroporto.  Venne organizzato un affrettato meeting della presidenza slovena, durante il quale Kučan (Presidente della Slovenia) ed il resto dei membri optarono per la resistenza armata.

Il governo sloveno era stato avvertito da Belgrado che la JNA avrebbe utilizzato degli elicotteri per trasportare le truppe speciali verso i punti strategici. La Slovenia inoltrò un ultimatum al comando del Quinto distretto militare di Zagabria dichiarando che se i voli fossero continuati, essi sarebbe stati abbattuti. La JNA ignorò questi avvertimenti credendo che alla fine la repubblica ribelle si sarebbe arresa. Fu un errore fatale. Durante il pomeriggio del 27 giugno 2 elicotteri jugoslavi furono abbattuti dalla TO slovena, uccidendo tutti gli occupanti.

Inoltre, la TO circondò tutte le caserme in cui erano di stanza truppe della JNA e lanciò degli attacchi contro quest’ultima in tutta la Slovenia. A Brnik, un’unità della TO attaccò le truppe della JNA che presidiavano l’aeroporto, ed a Trzin si ebbe uno scontro a fuoco durante il quale quattro soldati della JNA ed uno della TO rimasero uccisi ed il resto dell’unità jugoslava fu costretto ad arrendersi. Altri attacchi furono lanciati a Pesnica, Ormoz e Koseze, vicino a Bisterza. Una colonna della 32a brigata motorizzata, che avanzava da Varazdin in Croazia, venne bloccata ad Ormoz, vicino al confine sloveno e si trovò impossibilitata a rompere una barricata slovena.

Nonostante tutto, la JNA era riuscita nella sua missione di catturare tutti i valichi di frontiera con l’Italia, l’Austria e la Croazia. Ad ogni modo molte delle sue unità si ritrovavano in una posizione vulnerabile all’interno della Slovenia.

Nella lotte tra il 27 e il 28 giugno venne ordinato a tutte le unità della TO di lanciare una grande offensiva contro le truppe jugoslave.

I combattimenti si fecero sempre più intensi. Le unità che il giorno prima erano state bloccate a Pesnica, il giorno seguente furono bloccate da camion sloveni a Strihovec, a pochi chilometri di distanza dal confine austriaco, dove furono attaccate dalla polizia slovena e dalla TO. L’avazione jugoslava rispose con 2 incursioni aeree in cui furono uccisi 4 camionisti sloveni.  A Medvedjek, nella Slovenia centrale, un’altra colonna jugoslava si ritrovò sotto attacco sloveno, e i raid dell’aviazione jugoslava uccisero sei camionisti. Scoppiarono pesanti combattimenti a Rozna Dolina Nova Gorica, al confine italiano, dove le forze speciali slovene distrussero tre carri armati T-55 della JNA e ne catturarono altri tre. Vennero uccisi quattro soldati della JNA e se ne arresero circa cento.

A Holmec la TO catturò 91 soldati jugoslavi, dopo una serie di combattimenti in cui morirono 2 sloveni ed un jugoslavo. I quartieri della JNA furono attaccati dalla TO e un deposito di armi finì in mani slovene, il che aumentò il potenziale armato della Slovenia. Nel frattempo, l’aviazione jugoslava bombardò l’aeroporto di Brnik. Nell’attacco morirono 2 giornalisti austriaci e 4 aerei della linea Adria Airways furono gravemente danneggiati. L’aviazione inoltre attaccò il quartier generale militare sloveno a  ed i trasmettitori radiotelevisivi a Krim, Kum, Trdinov vrh e Nanos nel tentativo di impedire le trasmissioni del governo sloveno.

Alla fine della terza giornata di combattimenti la JNA teneva ancora molte delle sue posizioni, ma stava perdendo progressivamente terreno. La diserzione aumentava e sia le truppe di terra che il comando centrale di Belgrado non sapevano come procedere.

Il precipitare degli eventi fece aumentare gli sforzi diplomatici da parte della Comunità Europea per mettere fine alla guerra. Tre ministri europei si incontrarono a Zagabria con i rappresentati del governo sloveno e di quello jugoslavo nella notte tra il 28 e il 29 giugno e si accordano per un cessate il fuoco, che non venne però mai messo in pratica. Intanto sul terreno continuavano i successi sloveni. La mattina del 29 le forze jugoslave di stanza all’aeroporto di Brnik si arresero alla TO slovena. A nord, molti carri armati della JNA vennero catturati vicino a Strihovec ed in seguito riciclati come carri armati per la TO. Le forze speciali della JNA tentarono di aprire un varco a Crevatini, ma caddero in un’imboscata e furono respinte dalle forze slovene. Gli sloveni riuscirono anche a conquistare i posti di confine di Vertoiba e Sentilj, e l’arsenale delle truppe federali venne confiscato, aumentando così quello delle truppe slovene.

La JNA impose un ultimatum alla Slovenia per le 9:00 del 30 giugno.  In risposta, l’Assemblea slovena adottò una risoluzione che adottava una soluzione pacifica alla crisi e che non minasse l’indipendenza slovena, rigettando l’ultimatum jugoslavo.

Le schermaglie continuarono per tutto il giorno seguente. Le forze slovene conquistarono il tunnel alpino di Karawanken, al confine con l’Austria e catturarono 9 carri armati jugoslavi nei pressi di Nova Gorica. L’intera guarnigione della JNA di stanza a Dravograd si arrese alla TO slovena, e così anche le guarnigioni di Tolmino e Plezzo.

Ulteriori schermaglie ebbero luogo il 1° luglio. Le forze slovene catturarono una struttura della JNA a Sud di Lubiana.  Il carico di munizioni della JNA a Montenero d’Idria prese fuoco e fu distrutto in una massiccia esplosione, danneggiando buona parte della città. Ad ogni modo gli sloveni catturarono con successo i depositi di Pečovnik, Bukovžlak e Zaloška Gorica, prendendo possesso di circa 70 container di munizioni ed esplosivi.

La colonna del 306° reggimento artiglieria leggera contraerea della JNA si ritirò dalla sua posizione troppo esposta a Medvedjek per dirigersi verso il bosco di Krakovski vicino al confine croato. Fu fermata al posto di blocco di Krsko e venne circondata dalle forze slovene, ma rifiutò di arrendersi, sperando nell’aiuto di una colonna di soccorso.

Visti la situazione che volgeva al peggio, il comando della JNA decise di cambiare strategia ed optò per l’invasione su larga scala della Slovenia. Tuttavia, il gabinetto jugoslavo guidato da Borisav Jovic si rifiutò di dare il consenso a tale operazione.  Il capo di stato maggiore della JNA, il generale Blagoje Adzić, divenne furioso e dichiarò pubblicamente che “gli organi federali ci ostacolano di continuo, richiedendo dei negoziati mentre questi [gli sloveni] ci stanno attaccando con tutti i mezzi.

Il 2 luglio risultò essere il giorno più pesante per la JNA. La unità diretta alla foresta di Krakovski fu posta sotto assedio dalle forze slovene e alla fine fu costretta ad arrendersi. A  Jastrebarsko in Croazia il quarto corpo d’armata jugoslava tentò di sfondare il confine, ma venne ricacciato indietro fino a Bregana. La TO slovena conquistò i valichi doganali di Šentilj, Gornja Radgona, Fernetti e Gorjansko, catturandole e facendo prigionieri un buon numero di truppe della JNA. Un lungo combattimento tra la JNA e le forze della TO ebbe luogo nel pomeriggio e durante la serata a Dravograd, e parecchie strutture della JNA in tutto il paese caddero in mani slovene.

Alle 21:00 il presidente sloveno proclamò un cessate il fuoco unilaterale, che venne respinto dal comando della JNA che giurò di “riprendersi il controllo” e di abbattere la resistenza slovena.

Il giorno seguente un convoglio armato jugoslavo si mise in marcia da Belgrado verso il confine sloveno, ma per apparenti problemi meccanici non arrivò mai in Slovenia. Intanto sul territorio continuavano i combattimenti. Una forza di soccorso della JNA si diresse al punto di confine di Gornja Radgona, venendo tuttavia fermata a Radenci. Altre forze della JNA vicino a Kog vennero attaccate da unità della TO. In serata la JNA si accordò per un cessate il fuoco e la ritirata verso le proprie caserme.

Con il cessate il fuoco in atto, si permise a tutte le unità della JNA di ritirarsi pacificamente oltre il confine con la Croazia e alla Slovenia di prendere possesso di tutti i posti di dogana del paese.

La guerra dei dieci giorni ebbe la sua fine formale con gli accordi di Brioni, firmati sull’isola croata di Brioni. I termini dell’accordo furono favorevoli per la Slovenia; fu accordata una moratoria di tre mesi per l’indipendenza slovena, che in pratica aveva un minimo impatto politico, e le forze armate slovene e la polizia furono riconosciute come sovrane sul loro territorio.

Fu stabilito che tutte le unità militari jugoslave avrebbero lasciato la Slovenia, mentre il governo jugoslavo pose la fine di ottobre come data di scadenza per il ritiro. Il governo sloveno insistette che il ritiro doveva procedere secondo i propri termini; alla JNA non era permesso portare via la maggior parte dell’artiglieria pesante e l’equipaggiamento, che venne in seguito riutilizzato dalle forze locali o rivenduto alle altre repubbliche jugoslave. Il ritiro cominciò circa dieci giorni dopo e fu completato il 26 ottobre.

 Guerra dei 10 giorni

 

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